Nel 1775, quando Alfieri ha quasi ventisette anni ed entra in quella che sarà l’Epoca IV della Vita, la Virilità, ha ormai maturato con grande consapevolezza l’idea di farsi poeta tragico e ad essa si dedicherà con impegno nei successivi dodici anni, durante i quali comporrà ben 19 tragedie.
L’ostacolo più arduo da superare è quello della lingua: Alfieri infatti ha difficoltà a comporre versi in italiano (o meglio in «toscano»), che sente di non conoscere bene. Lo testimonia il fatto che sia la Cleopatra, sia altre due tragedie ideate nel 1775 (Filippo e Polinice) vengano inizialmente stese in prosa francese.
Alfieri reagisce a questa insufficienza linguistica immergendosi nello studio dei quattro maggiori poeti italiani – Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso – e ricercando possibili modelli di versificazione tragica, ma lo studio da solo non basta e per questo intraprende, nell’aprile del 1776, il suo primo «viaggio letterario» in Toscana, per perfezionare la sua padronanza della lingua.
Nel frattempo, si dedica alle prime tragedie, per le quali elabora il metodo compositivo detto dei «tre respiri», dal momento che all’ideazione del soggetto seguono una prima stesura in prosa e infine diverse stesure in versi, fino a quella ritenuta definitiva.
Ancora insoddisfatto dei risultati raggiunti, nel maggio del 1777 compie un secondo viaggio, che lo porta a Siena, dove entra in contatto con un «crocchietto» di eruditi locali tra i quali spicca Francesco Gori Gandellini, il suo «amico del cuore».
È sempre durante questo secondo viaggio toscano che Alfieri conosce, a Firenze, Luisa Stolberg, contessa d’Albany, moglie infelice dell’anziano pretendente al trono d’Inghilterra Charles Edward Stuart. Alfieri capisce di avere finalmente incontrato la donna della sua vita, il «degno amore» capace di «allacciarlo per sempre». Ricorda nella Vita: «invece di ritrovare in essa, come in tutte le volgari donne, un ostacolo alla gloria letteraria, un disturbo alle utili occupazioni, ed un rimpicciolimento direi di pensieri, io ci ritrovava e sprone e conforto ed esempio ad ogni bell’opra».
Gli studi letterari e l’innamoramento per la contessa d’Albany lo portano a una delle scelte più anticonformiste della sua vita: nel 1778 dona tutti i suoi beni alla sorella Giulia in cambio di una pensione annua, pur di riuscire finalmente a «spiemontizzarsi», a recidere cioè ogni vincolo che lo legava al Regno di Sardegna, e a conquistare il diritto di viaggiare liberamente e di stampare ovunque i suoi scritti. Si tratta di una scelta coerente con l’ideale del «libero scrittore» teorizzato nel trattato Del Principe e delle Lettere, che Alfieri inizia a comporre proprio nel 1778.
Negli anni seguenti Alfieri risiede prima in Toscana e poi a Napoli, ma nel 1781 raggiunge a Roma la Stolberg, allontanatasi dal marito violento e geloso: negli anni seguenti le difficoltà connesse alla separazione legale tra i due coniugi costringeranno Alfieri a restare lontano dalla donna amata anche per lunghi periodi.
Durante i due anni del soggiorno romano si colloca un altro evento importante: nel 1782 l’Antigone viene rappresentata nel teatro privato del palazzo dell’ambasciatore di Spagna, con Alfieri stesso nella parte di Creonte. Il successo della rappresentazione sprona Alfieri a pubblicare i suoi testi drammatici. Nel 1783 stampa a Siena il primo dei tre volumi contenenti le dieci tragedie fino ad allora composte e si reca in varie città italiane per farle conoscere ai letterati più in vista.
Seguono anni di fervidissimo lavoro letterario, costellati anche da nuovi viaggi: nel 1783 parte per l’Inghilterra, per comprare cavalli; nel 1784 si ricongiunge con la Stolberg in Alsazia e i due si stabiliscono nel castello di Martinsbourg: qui, nel mese di settembre, il poeta riceve la dolorosa notizia della morte dell’amico Gori Gandellini.
Dal 1786 Alfieri si trasferisce a Parigi, dove può seguire la stampa, presso l’editore Didot, di tutte le tragedie (le altre opere vengono nel frattempo pubblicate dalla tipografia Beaumarchais a Kehl, vicino a Strasburgo).
Qui, la contessa d’Albany diventa animatrice di un frequentato salotto, dal quale lo scrittore può seguire l’evolversi della situazione politica francese. Nel 1789, alla presa della Bastiglia, egli vive con entusiasmo lo scoppio della Rivoluzione, sulla quale però matura presto un giudizio di esplicita condanna. Dopo l’arresto del re Luigi XVI, nell’agosto 1792 fugge precipitosamente da Parigi, lasciandovi molti dei suoi averi e, soprattutto, una parte consistente della sua ricca biblioteca.
Alfieri trascorre gli ultimi anni con la Stolberg a Firenze, nella dimora di Palazzo Gianfigliazzi, immerso negli studi (si dedica tra l’altro ad apprendere il greco antico) e nella creazione letteraria: sul suo tavolo di lavoro si alternano la Vita (iniziata nel 1790) e una serie di opere comico-satiriche (le Satire, il Misogallo, le Commedie), critica veemente della società europea contemporanea e, in particolare, della Francia rivoluzionaria.
Muore a Firenze, l’8 ottobre 1803.