Il 19 maggio 1766 Alfieri lascia l’Accademia ed entra nell’esercito, dove viene nominato alfiere del reggimento provinciale di Asti. La sua vocazione militare si affievolisce però presto, mentre aumenta smisuratamente «la smania di viaggiare». Consapevole tuttavia che a un giovane diciassettenne non sarebbe mai stato concesso il permesso di partire da solo, organizza un «raggiretto», come lui stesso lo definisce nella Vita: convince due suoi ex compagni d’Accademia – un fiammingo e un olandese – e il loro «aio» inglese a compiere insieme a lui un viaggio a Roma e a Napoli, confidando nel fatto che, grazie alla tutela garantita dal precettore, gli sarebbe stato accordato il permesso di lasciare lo stato sabaudo.
Lo stratagemma riesce: il re Carlo Emanuele III gli concede una licenza di un anno e il 4 ottobre 1766 Alfieri può partire per il primo dei suoi celebri viaggi; esso lo porterà dapprima a Milano e Firenze, e poi a Roma e Napoli. Con lui vi è anche il servo Giovanni Antonio Francesco Elia: uomo «di sagacissimo ingegno» e «di un’attività straordinaria», egli diventa da questo momento il «fidato» compagno delle peregrinazioni alfieriane attraverso l’Italia e l’Europa.
Dal maggio 1767 infatti egli intraprende una nuova serie di peregrinazioni che termineranno solo nella primavera del 1772 e lo porteranno a visitare i paesi e le capitali più importanti dell’Europa del tempo: fra queste Parigi e Londra, l’Olanda e la Svizzera, Vienna e la Germania, Praga, la Svezia, la Russia. Questo bisogno di «andare» non è soltanto espressione di ansia di vedere e conoscere. È anche sintomo di una crisi d’identità, che Alfieri nella Vita ricorda in questi termini: «Io viveva […] in tutto e per tutto ignoto a me stesso; non mi credendo vera capacità per nessuna cosa al mondo; non avendo nessunissimo impulso deciso, altro che alla continua malinconia, non ritrovando mai pace né requie, e non sapendo pur mai quello che io mi desiderassi […]; e soltanto molti anni dopo mi avvidi, che la mia infelicità proveniva soltanto dal bisogno, anzi necessità ch’era in me di avere ad un tempo stesso il cuore occupato da un degno amore, e la mente da un qualche nobile lavoro».
Negli anni della Giovinezzail poeta «incappa» in una serie di tormentati «intoppi amorosi». Il primo lo attende in Olanda, nel 1768, dove s’invaghisce di Cristina Emerentia Leiwe, moglie del barone Imhof: la storia si chiude con un maldestro tentativo di suicidio, sventato da Elia. Il secondo, ancor più travolgente, giunge nel 1771 a Londra, dove Alfieri intreccia una relazione con Penelope Pitt, destinata a terminare con un romanzesco duello con il marito della donna, il visconte Edward Ligonier, e soprattutto con un’amara disillusione, che subentra quando la Pitt gli confessa di aver tradito lo sposo anche con un palafreniere.
Oltre agli amori e ad altre «dissolutezze», i viaggi portano anche numerose esperienze intellettuali, dalle quali comincia a nascere il futuro scrittore. Ad esempio, in Olanda e soprattutto in Inghilterra, Alfieri conosce una forma di governo (la monarchia costituzionale) che gli appare da subito garante di libertà e resterà un importante punto di riferimento del suo pensiero politico.
Nell’inverno 1768-1769 – quando si concede una sosta dai suoi viaggi, stabilendosi a Torino nella casa coniugale della sorella Giulia – legge i testi degli illuministi francesi acquistati nelle librerie di Ginevra, e con ancor più trasporto si immerge nelle Vite parallele di Plutarco, una delle sue letture fondamentali, al pari dei Saggidi Montaigne, che porta con sé alla ripresa del suo girovagare per l’Europa nel maggio 1769.
È invece durante uno dei suoi soggiorni parigini, nel 1771, che acquista le opere dei maggiori autori italiani (Dante, Petrarca, Boccaccio, Machiavelli, Ariosto, Tasso), che lo accompagneranno per il resto della vita così come alcune amicizie strette in questi anni, prima fra tutte quella con l’abate Tommaso Valperga di Caluso, conosciuto a Lisbona nel 1772, che intuisce la sua predisposizione per la poesia e lo esorta a dedicarsi alla letteratura.
I primi frutti di queste esperienze si vedono subito al rientro a Torino, nel maggio 1772. Alfieri si stabilisce in un lussuoso appartamento in piazza San Carlo, dove fonda, assieme ad alcuni ex compagni dell’Accademia, la piccola società letteraria dei Sansguignons (cioè dei “Senza-ubbìa”, “Senza pregiudizio”), nell’ambito delle cui riunioni nascerà, l’anno seguente, la sua prima opera, l’Esquisse du Jugement Universel, un dialogo satirico in francese. Ma a Torino lo attende anche il terzo «intoppo amoroso», la relazione con Gabriella Falletti di Villafalletto, sposata con il marchese di Prié e di dieci anni più matura di lui. Si tratta di una passione intensa, avvertita da Alfieri come avvilente e servile, eppure, secondo il racconto della Vita, decisiva per la sua vocazione letteraria. Proprio per dare sfogo alla frustrata volontà di liberarsi dalla «rete amorosa», nel gennaio 1774 inizia a comporre la sua prima tragedia, la Cleopatra, terminata l’anno seguente, dopo essere finalmente riuscito a troncare la relazione con l’«odiosamata Signora». Il 16 giugno 1775, con il titolo mutato in Antonio e Cleopatra, la tragedia è rappresentata al Teatro Carignano, con la farsetta I poeti.
La «conversione» letteraria è ormai compiuta: Alfieri ha finalmente capito che la sua vocazione è quella di scrittore e in primis di poeta tragico.